18 Maggio 2022 -

IL SENTIERO 238, SULLE ORME DI SANTA BARBARA

Nella parte orientale della Valdinievole, laddove termina il confine ideale della sezione pesciatina del Cai, si trova il Comune di Pieve a Nievole con i suoi sentieri, tutti praticabili anche per persone meno allenate ed esperte di trekking. In particolare il sentiero n. 238 si impone per la sua bellezza, con i suoi scorci paesaggistici e le opere storico-artistiche, che guidano gli escursionisti sulle orme degli antichi viaggiatori. Stare su percorsi come questo significa tornare indietro nel tempo e passeggiare lungo una viabilità che parla di storia e di leggende locali. Per capirlo, tuttavia, è necessario ammettere una piccola deviazione dal sentiero in sé per sé, partendo dal luogo giusto: la chiesa dei Santi Pietro apostolo e Marco evangelista.

Pieve a Nievole e l’antica chiesa di San Pietro

Sorta nei pressi di un precedente insediamento romano, la chiesa di San Pietro apostolo si sviluppò a partire dal VII secolo d.C., ricoprendo il ruolo determinante di “pieve” fino al Trecento, quando perse la sua importanza e divenne dipendente dal castello di Montecatini Alto. […]

Santa Barbara e la leggenda pievarino-montecatinese

Durante l’epoca medievale la rivendicazione da parte delle piccole comunità di Pieve a Nievole e di Montecatini della devozione nei confronti di una santa di antica tradizione paleocristiana, Barbara, ebbe lo scopo di rafforzare l’identità sociale locale durante il difficile processo dell’incastellamento, di cui rimane traccia nelle leggende popolari tramandate oralmente fino ai giorni nostri. […]

Montecatini Alto e la reliquia di santa Barbara

Castello di grande importanza strategica per tutto il XIV, XV e XVI secolo, Montecatini Alto si trovò al centro di celebri battaglie culminate, nel 1554, con la distruzione ordinata dal duca Cosimo I de’ Medici del borgo fortificato e dell’archivio storico. Prezioso testimone della centralità politica del luogo precedente a tale distruzione è il reliquiario di santa Barbara, opera di oreficeria di raro valore. […]

Pieve a Nievole e l’antica chiesa di San Pietro

Fin dall’epoca romana, infatti, l’area fra l’attuale Via Cosimini, Via del Poggetto e Piazzetta San Marco era molto sviluppata dal punto di vista sociale ed economico, data la presenza di un pagus (unità amministrativa rurale importante per la produzione di cereali, olio o vino e per la riscossione delle tasse), posto lungo la Cassia-Clodia, asse viario di collegamento fra Pistoia e Lucca costruito nel II secolo d.C. Agli albori dell’alto medioevo, quando l’impero romano era ormai decaduto, fu la Chiesa a mantenere la coesione sociale, andandosi a sostituire alla macchina politica romana. Per farlo era necessaria la conversione al cristianesimo di tutta la popolazione, anche di quella che abitava nelle realtà di campagna più periferiche, attraverso un nuovo sistema di organizzazione della cura delle anime basato sulla centralità dell’amministrazione del sacramento del battesimo. Tale funzione, fino ad allora spettante solo alla chiesa del vescovo, venne decentrata ed affidata alle pievi, alle quali fu concesso di possedere un fonte battesimale. Una delle primissime testimonianze di questo sistema fu proprio l’antica chiesa di san Pietro, che i documenti menzionano a partire dal 21 maggio 700 (Archivio Arcivescovile di Lucca). Di questo originario edificio non sono rimaste tracce, forse andate distrutte o inglobate durante le successive riedificazioni, come quella avvenuta nel XII secolo, durante il vasto programma di ammodernamento in chiave romanica delle pievi lucchesi. Nonostante la distanza che ci separa da quel periodo, alcune reperti sono ancora visibili: la base della torre campanaria, nella piazza antistante la chiesa, e le fondazioni di un muro di fortificazione che circondava l’area, adibita alla raccolta delle decime (scavi archeologici del 1997-1998). La chiesa divenne via via sempre più rilevante, forse perché posta lungo una delle tante varianti della Via Francigena-Romea che metteva in collegamento l’Appennino con le città di Pistoia e di Lucca. Qui trovarono la morte dei pellegrini, come dimostra il ritrovamento di un tesoretto di 26 monete venete e di una crocetta in prossimità di alcune sepolture.

A partire dal XIII secolo (fino al XVI) per la chiesa pievarina si aprì un lungo periodo di decadenza: la popolazione e il clero trovarono rifugio nel borgo fortificato di Montecatini Alto per fuggire a guerre e epidemie. Fu in questo momento che il titolo di San Pietro venne traslato e assunto dalla chiesa montecatinese, assieme al fonte battesimale; e fu qui che probabilmente nacque la celebre leggenda di santa Barbara, le tracce della cui devozione seguono proprio il sentiero n. 238, come vedremo.

Pieve a Nievole tornò ad essere luogo di riferimento religioso e sociale con il Seicento, grazie alla Compagnia del Corpus Domini, con l’Oratorio eretto di fronte alla chiesa. Fu però solo dal 1835 che quest’ultima prese nuovamente vita e venne ricostruita su progetto dei Bernardini, famiglia di celebri architetti già attiva in altri cantieri ecclesiastici della Valdinievole.

 

Santa Barbara e la leggenda pievarino-montecatinese

Percorriamo adesso parte del sentiero n. 238 fino a giungere alla località Pietre Cavate. Lungo la salita, sulla destra, troviamo un masso con due cavità, che la saggezza popolare locale ha definito come “le ginocchiate di santa Barbara”. Santa Barbara è una martire della prima età cristiana, vissuta e morta a Nicomedia in Asia Minore fra il III e IV secolo d.C., la cui memoria si festeggia il 4 dicembre. Il culto verso questa figura femminile fu enorme in tutto il medioevo, ma in questa parte di Valdinievole assunse un significato tutto particolare. Ci sono infatti due leggende che legano la santa a questo territorio: una montecatinese e una pievarina. Una tradizione vuole che Barbara, ritenuta protettrice della chiesa di Pieve a Nievole, fosse migrata con gli abitanti del luogo verso Montecatini Alto che, piangendo, furono costretti a lasciare le loro case a causa di guerre e pestilenze per rifugiarsi sulla sommità del colle vicino, che era fortificato. Anche la santa, uscita fuori dall’urna che conteneva i suoi sacri resti, volle accompagnare la popolazione in questo viaggio, salendo sul campanile, staccando le campane e percorrendo la strada in salita. A circa metà percorso, però, Barbara cadde, lasciando nella pietra l’impronta delle ginocchia. Rialzatasi, terminò il suo viaggio, accolta con tutti gli onori a Montecatini Alto.

La leggenda diffusasi a Pieve a Nievole, invece, sostiene che la santa, viste le crescenti problematiche che affliggevano la pianura, decise di prendere le campane e di caricarsele sulle spalle, fuggendo inseguita dai pievarini che vedevano nella sua azione una sorta di furto alla loro identità sociale. Durante la corsa ella cadde a terra, lasciando l’impronta delle ginocchiate nella pietra; si rialzò, riprese la sua fuga, trovando rifugio nel castello.

Al di là delle diatribe campanilistiche dell’una o dell’altra comunità, il fiorire di queste leggende non ha solo un significato devozionale: esse testimoniano come la mentalità locale abbia cercato di spiegare il fenomeno medievale dell’incastellamento, cioè quel lento processo di abbandono dei borghi di pianura in favore degli insediamenti sulle alture, che offrivano maggior protezione con le loro mura difensive ma anche controllo delle merci lungo le vie di comunicazione.

 

Montecatini Alto e la reliquia di santa Barbara

Proseguiamo sul sentiero n. 238, immaginandoci di seguire la stessa salita fatta da santa Barbara e ritrovandoci ad una grande margine ristrutturata in tempi recenti, fondamentale “segnaletica” per gli abitanti di un tempo, eretta sul luogo di confluenza di un trivio. Dopo pochi passi entriamo all’interno del borgo di Montecatini Alto, con la sua distribuzione degli edifici sulle due caratteristiche sommità del colle. L’immagine che però si doveva presentare ai viaggiatori del medioevo doveva essere ben diversa: fu infatti solo a partire dal 1074 che gli abitanti del luogo costruirono una struttura fortificata, che nel corso dei secoli divenne sempre più grande, organizzata e stabile (tanto da essere costituita da 25 torri, 7 porte e circondata da 2 km di cinta muraria). Le mura del castello furono fondamentali per la difesa dell’abitato, soprattutto quando tutta la Valdinievole si trovò coinvolta nella lotta fra guelfi e ghibellini. Dopo aver accolto i fuoriusciti fiorentini e lucchesi di parte guelfa, i montecatinesi dovettero subire l’assedio e la conquista da parte del ghibellino Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e di Lucca, dopo una sanguinosa battaglia avvenuta il 31 agosto 1315. Nel giro di pochi anni, venendo meno il governo filo imperiale per la morte di Castruccio Castracani (successore di Uguccione), Montecatini si alleò con gli altri comuni della Valdinievole, cercando la protezione di Firenze, sebbene le fazioni politiche locali avversassero questo cambio di potere. La città dominante, tuttavia, per mettere fine alle contese nella zona, mise nuovamente sotto assedio il castello, sottomettendolo definitivamente il 19 luglio 1330. Da quel momento in poi Montecatini Alto conobbe un periodo di relativa tranquillità politica e di fioritura commerciale fino all’estate del 1554, quando come il resto della vallata venne coinvolto nella guerra che Francia e Spagna avevano iniziato per il possesso della penisola italiana, coadiuvati dagli eserciti locali. Il castello venne occupato dalle truppe italo-francesi guidate da Piero Strozzi, senza trovare alcuna resistenza militare. Questa azione di sudditanza montecatinese non passò sotto silenzio agli occhi di Cosimo I de’ Medici, duca di Toscana, che si era nel frattempo alleato con Carlo Gonzaga e con gli spagnoli. La reazione fu veloce e ferocissima: tra la fine di giugno e gli inizi di luglio 1554 le truppe fiorentine arrivarono nei pressi dell’attuale Via Tanelli e del convento di Santa Margherita, e da questo luogo iniziarono a sparare cannonate nella zona di Porta al Borgo, permettendo così la riconquista del paese. Per ordine di Cosimo, Montecatini venne destinata alla completa distruzione fino alle fondamenta; distruzione che comprese anche i preziosi documenti comunali, che vennero accatastati nella piazza e bruciati pubblicamente.

La perdita della memoria storica locale ha impedito la ricostruzione di un evento importante per la comunità locale, sempre legato al culto di santa Barbara. Nella chiesa di San Pietro apostolo, infatti, è ancora oggi conservato un magnifico reliquiario che ospita la parte superiore del cranio della santa che, per la sua grandezza, deve essere sicuramente visto come dono diplomatico. Secondo alcuni studiosi, infatti, la reliquia doveva essere arrivata a Montecatini, fra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento, come pegno di amicizia e di pace dalla vicina Pisa, che trattenne per sé la parte della mandibola (oggi nel Museo dell’Opera del Duomo). È molto probabile che, per l’occasione, venne anche commissionato dalla comunità locale lo splendido reliquiario di fattura fiorentina, portato in solenne processione nel 1456, come ricorda il celebre padre agostiniano Giulio Finocchi nelle sue Memorie di Monte Catino del XVIII secolo. Eseguito in argento sbalzato, cesellato, inciso e decorato da smalti traslucidi, è caratterizzato dalle tipiche forme architettoniche di moda negli oggetti liturgici del tempo, che si attardano a proporre elementi decorativi desunti dagli edifici tardo-gotici italiani. Su tre piedi leonini sorge la base, a pianta stellare, nella cui parte inferiore gli spigoli simulano un loggiato aperto. Sulla superficie del piede corre invece una decorazione fogliacea su fondo puntinato che racchiude, in ogni spicchio, un medaglione recante stemmi diversi, tutti identificabili: quello dell’antica Comunità di Montecatini, quello della città di Pisa e della repubblica di Firenze e infine quello dell’Opera. Il fusto è costituito da un grande nodo a guglie, pinnacoli e frontoni decorati da smalti azzurri. La teca, modellata “a lanterna”, propone elementi stilistici che appartengono ad un repertorio di modelli di oreficeria di matrice fiorentina: le bifore, inquadrate da esili colonnine tortili, e il coperchio a cupola, sulla cui superficie corrono di nuovo foglie e fiori dai petali dipinti a smalto.

 

Per chi volesse approfondire:

  • M. Parlanti, Pieve a Nievole, Pisa 1999.
  • P. Vitali, Tra la Cassia e la Francigena. Itinerari di fede e di arte, Pisa 2000.
  • G. Ciampoltrini-E. Pieri, Archeologia a Pieve a Nievole, Pisa 2004.
  • R. Pinochi, Dentro la terra di Monte Catino, Borgo a Buggiano 2012.